La bacheca dei desideri
racconto e illustrazione di Barbara Mirimin
«Il cielo sopra la mia testa è strano, so che strano non vuol dire nulla, ma la sensazione che mi lascia è strana. Grigio, cupo, non offre spiraglio di luce, dai colori tiepidi e distaccati, l’inverno è così. Vorrei urlare, ma mi viene solo voglia di svenire nel torpore di un sonno invernale, nel letargo e nell’oblio, persa in assenza di pensieri. silenzio. L’inverno parla».
Si chiude il sipario rosso davanti all’attrice del monologo L’inverno affranto, opera di rara vitalità, nel senso ch’è raro trovarla, a cui due amiche mi hanno invitato ad assistere. L’applauso finale, poi le luci si riaccendono. Mi infilo il cappotto, mentre cerco nella borsa cappello e guanti tentando di eludere la domanda che già sento arrivare: ‒ Allora ti è piaciuto lo spettacolo? ‒ mi chiede Paola.
Non ho più nulla da cercare in borsa e le rispondo: ‒ Che dire?… strano; non brutto, ma strano ‒ e sorrido.
Interviene Gianna: ‒ A me tutto questo struggimento invernale ha messo appetito, ci mangiamo qualcosa?
Usciamo dal piccolo teatro e ci dirigiamo al ristorante curdo-turco.
Fuori fa freddo ed entrare in un luogo caldo e colorato mi dona piacere agli occhi. Ci sediamo per terra sopra grandi cuscini, ognuna di noi ordina cose diverse, da poter condividere insieme: hummus, couscous, manzo con verdure, falafel, feta e crema di melanzane. Da bere birra, parecchia.
Paola mi guarda e torna alla carica domandandomi: ‒ Allora perché non ti è piaciuto?
Premetto che Paola mi ha regalato il biglietto dello spettacolo per il mio compleanno e non voglio deludere le sue aspettative, per questo mi trovo imbarazzata nel dirle con onestà: ‒ Non mi ha emozionata, l’ho trovato pretenzioso, poeticamente statico e si sono presi veramente troppo sul serio.
‒ Ma che c’entra? ‒ mi risponde Paola. ‒ È un monologo intellettuale e visionario! Poi è giusto prendersi sul serio ‒ continua quasi scocciata.
Con Paola l’essere diretti non funziona.
‒ Penso che prendere seriamente ciò che si fa senza prendersi troppo sul serio sia meglio. Apprezzo tuttavia chiunque si prenda la briga di creare, mettendosi in gioco, esponendosi e mettendoci la faccia, ammiro chiunque creda in se stesso e nella propria opera creativa.
Gianna sgranocchia dei grissini mentre ci guarda divertita: ‒ Io l’ho trovato una palla.
Paola la fulmina con lo sguardo. Io trattengo una risata e mi chiedo se non sia segretamente lei la regista dell’opera in questione, tanto ce l’ha a cuore. Propongo un brindisi giusto per ritrovare la leggerezza.
Paola riprende: ‒ Comunque quello spettacolo l’ho trovato fantastico ‒ e lo dice con la convinzione di un turista che mangia cavallette vive.
‒ Ma tu sei il manager? ‒ le chiede Gianna ridendo.
‒ Certo che no! ‒ le risponde indignata.
Finalmente portano il cibo in tavola e ci concentriamo su quello. Mentre assaporo rifletto su quanto le aspettative disattese a volte ci facciano chiudere in noi stessi. Voglio indagare cosa frulla nella testa di Paola. Ascoltando Gianna che racconta delle sue prodezze e disavventure amorose io metto in atto lo sguardo a raggi X su Paola, tant’è che ad un certo punto, sentendosi fissata, si volta e mi dice: ‒ E quindi?
Ci conosciamo dai tempi del liceo e, quando entra nella modalità “ciocco di legno”, mi tocca darle una mano. Lei fa lo stesso con me. Qualche anno fa attraversai un periodo difficile e cupo della mia vita per cui decise che ogni mattina alle 8 in punto sarebbe passata a prendermi per portarmi a passeggiare nel parco e farmi esprimere. Mi parlava dei nomi degli alberi, dei tipi di foglie, della storia del parco, insomma di tutto ciò che potesse distrarmi; e alle 10 poi correva a lavoro. Lo ha fatto ogni mattina per sei mesi, non lo dimenticherò mai e gliene sarò per sempre grata. Ha un cuore grande e tanta fede negli altri, meno in se stessa purtroppo.
‒ E quindi, dimmi, cosa c’è che non va? ‒ le rispondo, ‒ cos’è che ti mette in difficoltà?
Gianna nel frattempo ordina un altro giro di birra mentre Paola, finendo il suo bicchiere, mi fissa con lo sguardo sconsolato di una bambina.
‒ Ho inviato il mio romanzo ad alcune case editrici e non ho ricevuto risposta, tranne da una che si è presa la briga di scrivermi che non è interessata. Potrei inviarlo ad altre case editrici ma ho paura e sono demotivata; è faticoso essere rifiutati.
‒ Certo, ti capisco, ma ancor peggio è rimanere paralizzati dalla paura. Agisci, continua, senza preoccuparti troppo; il tuo romanzo verrà pubblicato da chi vi entrerà in sintonia, devi solo trovare chi lo sta cercando.
Interviene a sorpresa Gianna: ‒ E poi il tuo romanzo è bellissimo, non può certo rimanere in un cassetto a ingiallire tra le tarme, continua a proporlo; è faticoso se stai cercando i no, ma tu stai cercando il sì e per questo lo troverai.
Io e Paola la guardiamo stupite. Gianna sembra sempre poco interessata alle cose o alle persone: è il suo modo, credo, di proteggersi mettendo distanza, ma quando si avvicina ti avvolge nel calore.
Paola ci ringrazia, e ha gli occhi lucidi.
Intanto arriva il cameriere e chiede se desideriamo il dolce: io ordino quello al pistacchio di cui non ricordo mai il nome, baklava mi suggerisce, le altre prendono il sutlac, un budino di riso e cannella, e il lokum, una gelatina all’aroma di acqua di rosa.
Con il naso in su guardo le volte del soffitto dorate, le pareti gialle e gli archi blu cobalto, i cuscini rossi e viola, gli arazzi appesi; siamo immerse nel colore.
Mi viene in mente la mia “bacheca dei desideri” e vorrei regalarla a Paola. L’ho creata perché avevo bisogno di un posto tangibile dove custodire i desideri, le affermazioni positive che prima scrivevo su quaderni e fogli sparsi. Dandogli una forma esistevano, non solo dentro di me, e avevano una loro vita, un corpo attraverso la parola e una voce attraverso il suono della mia che le leggeva.
Una semplice tela rettangolare dipinta di blu, quattro sacchetti in stile etnico e la consapevolezza che i nostri desideri ci desiderano. Una volta scritto il desiderio e infilato il biglietto nel sacchetto me ne posso dimenticare, non per noncuranza, piuttosto per affidarlo all’universo, al fato, all’energia, agli angeli… poco importa a chi, ognuno crede a ciò che vuole; quel che importa è l’intenzione e l’apertura di cuore.
I desideri poi si avverano, perché la verità è che veniamo ascoltati più di quanto siamo disposti a farlo con noi stessi, solo i tempi e la forma ci sono ignoti, per questo bisogna trovarsi preparati.
Racconto tutto questo a Paola e Gianna e i loro occhi, non so se per l’eccesso di alcol unito agli zuccheri extra dei dolci, si accendono nell’entusiasmo.
‒ Che figata! ‒ esclama Gianna e, anche se non ha esattamente quattordici anni, di lei apprezzo veramente la spontaneità.
‒ Mi piace tantissimo la tua idea ‒ interviene Paola ‒ e credo che andrebbe diffusa, prescritta dal medico con esenzione, utilizzata nelle scuole… Scherzo ovviamente, eppure tutti abbiamo il diritto di desiderare e far emergere i nostri sogni più autentici, senza amareggiarci troppo ‒. Si interrompe per qualche secondo e poi: ‒ Deciso! Riprendo la ricerca della casa editrice giusta per il mio romanzo ‒ ci rende partecipi Paola.
‒ Brava! ‒ le rispondiamo all’unisono io e Gianna.
Si è fatto tardi, il locale sta per chiudere e noi tre siamo sazie di cibo e di gioia.
Chi vuole ancora credere nella forza dei desideri farebbe bene a crearsi una bacheca o qualunque cosa possa contenerli, fosse anche la tasca di un cappotto dimesso, ma amato benché non più indossato, una scatola di latta, la pochette vintage della nonna, un calzino bucato o uno scrigno d’oro.
Qualunque oggetto che accolga i nostri desideri diventa magico se noi lo crediamo possibile.
Buonanotte.
Barbara Mirimin
Audrey Hepburn una volta disse che la bellezza di una donna non dipende dai vestiti che indossa né dall’aspetto che possiede o dal modo di pettinarsi; la bellezza di una donna si deve percepire dai suoi occhi, perché quella è la porta del suo cuore, il posto nel quale risiede l’amore. Barbara è bellissima, perché nei suoi occhi si scorgono il cielo e il mare (nelle infinite sfumature dell’azzurro che si fonde con gli altri colori), con tutta la vita(lità) che lì vi risiede, trasportata in versi nelle sue delicate poesie, al momento note a pochi eletti. Eclettica, dinamica, spirituale, sensibile e a volte buffa, sa giocare e ridere di se stessa, dando voce a tutte le sue personalità, riconoscibili nelle sue illustrazioni dai colori sfumati e nei sue due racconti: Passepartout (in Il colore delle donne, Ananke Lab, Torino 2014, anche su Yeerida) e Ventiquattro (in Quel che ti pare. Storie di vite oltre i cliché, Ananke Lab, Torino 2017).
Che meraviglia!
Come sempre: grazie!
Amo i tuoi racconti per la ricchezza di doni nascosti tra le righe.
Gradevole e giocosa narri di vita intensa e profonda per mezzo di piccoli eventi.
❤️
Condivido quanto dici sui racconti di Barbara, Rosetta:
frizzanti e delicati, esattamente come lei!