“Sei troppo severa con te stessa” mi ripeti spesso, l’ultima volta è stata l’altro ieri quando, tra l’incredulo e il rassegnato, ti ho risposto: “Ancora???”
Eppure credevo di aver fatto notevoli progressi, ma forse la strada è ancora lunga.
Iniziai quattro anni fa a capire che avrei dovuto allentare le redini, quando la vita con modi poco eleganti mi fece capire che no, il controllo su tutti gli eventi non potevo averlo, e di nuovo no, non potevo aspettarmi che tutti gli altri partecipassero e comprendessero il turbamento dietro la mia paziente reazione. E no, non era facile per niente; e ancora no, non ero per nulla impassibile, e santo cielo no!, come hanno anche lontanamente potuto pensare che io non ci tenessi abbastanza?!
Attenzione: resilienza non è sinonimo di indifferenza!
Più venivo fraintesa più mi ritraevo nella mia corazza blindata, alimentando la mia incapacità (o poca volontà?) a comunicare, e ho creato un’immagine di me stessa a prova di bomba. Nessuno ha mai dubitato dei miei superminipoteri, tutti hanno creduto alla storia della leggenda e tutte le volte in cui dicevo che ero stanca, capivano che stavo bene e se dicevo che non ce l’avrei fatta, mi davano uno zuccherino, fiduciosi che i miei poteri mi avrebbero accompagnata sempre e comunque. Più mi sforzavo in quell’equilibrismo ardito, più perdevo contatto con la mia capacità e voglia di uno scambio con le anime, di stabilire connessioni emotive e sentimentali con gli esseri umani tutta presa dal dimostrare la mia superminipotenza.
Certe volte mi sentivo estraniata in alcune inutili conversazioni dove nessuno dice niente o solo cose banali, ma non riuscivo a crearne di profonde ed emotive. Ero diventata una superminiwonderwoman nel pieno della crisi di mezza età: avevo creato un mondo di false aspettative e di illusioni nei miei confronti e gradualmente, senza accorgermene, avevo creato delle enormi distanze tra me e il mondo.
Per proteggermi, mi dicevo. Non avevo considerato che rifuggire le emozioni negative significava rinunciare anche a quelle positive. Mi accorsi in tempo che non era una scelta furba, perché smisi anche di sognare, e questo non è mai una soluzione vincente.
Allora presi seri provvedimenti: dovevo riappropriarmi della mia tendenza a vivere qui e ora, a farmi guidare dalle emozioni nelle scelte difficili, e, perché no, anche in quelle facili.
Mi impegnai, misi in gioco me stessa più di quanto ritenessi fosse in mio potere e trovai un grandissimo e potentissimo rimedio: l’indulgenza … che nulla aveva a che fare con la mia austera severità con me stessa.
Feci una sorprendente scoperta: com’era più semplice vivere così, senza l’assiduo dovere di essere impeccabile … e di farlo con leggerezza, io che per mia cultura non potevo neanche pronunciare la parola leggerezza se riferita a me.
Poi la magia, il mio nuovo atteggiamento aveva favorito un cambiamento in chi mi stava accanto: mi sembrava impossibile che senza super poteri e senza sforzi abnormi fossi riuscita a ottenere quella stima e quell’affetto. Il mondo mi aveva dimostrato che l’indulgenza, almeno nel mio caso, paga. Avevo conquistato la loro fiducia con il mio lato affettivo ed emotivo, senza sforzi.
Per chi era in grado di apprezzarlo, s’intende.
Tuttavia, dovetti chiedere a me stessa un’ulteriore sfida: non curarmi del giudizio altrui … Dovevo imparare a farmi scivolare addosso i commenti gratuiti, le frasi e i toni, i gesti e le espressioni che mi trasmettevano critica e pregiudizio … Tutti quei lapsus, quei gesti aggressivi passivi che mi avevano sempre urtata, tutte quelle battutine sarcastiche, altro non erano che insulse bricioline da scrollare dalla giacca.
Credevo di esserci riuscita, ma forse a metà.
“Ma come fai a fare tutto quello che fai?” mi hai chiesto sempre l’altra sera.
“So gestire il mio tempo… un po’ meno le mie energie però”: è una questione di rispetto nei confronti degli impegni presi, più con gli altri che con me stessa, ahimè. Non a caso nell’ultimo anno ho travalicato i limiti e il corpo non ha saputo più come mandarmi messaggi di ribellione, fino a un vero e proprio ammutinamento durante le vacanze estive.
Mi sono fermata, non che avessi alternative.
Poi, complici il mare e l’amore, ho ripreso gradatamente a muovermi, con il fisico e con la testa, ma lentamente.
Ho iniziato a credere di meritare la vacanza, sentirmi in diritto di non socializzare per forza, parlare poco e ascoltare il silenzio, farmi cullare dalle onde alla luce calda del tramonto, dormire a ore insolite, ammirare il cielo e scorgere a lungo l’orizzonte…
Ancora una volta ho dovuto essere indulgente: ho imparato a non abusare di me e deciso che non avrei mai più consentito a nessun altro di fare altrettanto.
Recuperate in parte le energie, dopo le ferie sono ripartita con tanti buoni propositi che conto di onorare, per amor mio: continuerò a lavorare sui miei progetti, con dedizione ed entusiasmo, ma saprò anche riconoscere il momento in cui dire “per oggi basta”; collaborerò con piacere con altre persone fino a quando ci sarà il rispetto reciproco della fatica e del tempo impiegato; ci sarò per chiunque abbia piacere a un’uscita insieme allegra e spensierata o bisogno di ascolto o di un mio abbraccio, a patto di ricevere lo stesso trattamento; saprò concedermi momenti di pausa da dedicare al piacere e al diletto, da sola o in compagnia; deciderò chi può rimanere o entrare nella mia vita, a che titolo e in che misura, concedendomi la libertà di dichiarare le mie condizioni e pretendere che siano rispettate; non permetterò a nessuno di scalfire la mia propensione all’ottimismo con atteggiamenti diffidenti, cinici e disfattisti; non tarperò le ali alla fantasia e ai miei sogni…
La mia indulgenza è che tutte queste cose che mi riguardano adesso le adoro e ne vado fiera. Ho fatto tante cose nella mia vita, ma forse la più grandiosa è stata ritrovare me stessa e scoprire che mi sto simpatica e che ho un preciso seppure piccolo spazio nel mondo: anche così imperfetta e incoerente ho un ingranaggio tutto mio di cui non conosco fino in fondo l’utilità, ma di cui riconosco l’esistenza e il mio stesso diritto a esserne talvolta felice.
E anche io, come la Superminiwonderwoman del racconto di Anna Paola Bosi, quando mi sento un po’ vulnerabile, penso a me stessa in un posto tranquillo mentre con disinvoltura mi scrollo le briciole dalla giacca.
(Anna Paola Bosi, Superminiwonderwoman, in Il colore delle donne, Ananke lab, Torino 2014)