La rubrica Un libro mi disse prende spunto dal libro di Tiziano Terzani Un indovino mi disse: qui l’autore racconta di come la profezia di un indovino, da lui accolta in bilico tra gioco e cauta credulità, lo invitò a fare delle scelte che lo aprirono a nuove esperienze, permettendogli di scoprire un suo mondo tutto interiore. Ho scorto un parallelo con il fatto che spesso leggere un libro, un romanzo, un racconto, potrebbe essere l’occasione per conoscere meglio se stessi e dare una svolta non programmata alla propria vita.
È un attimo entrarci, ma serve una vita per uscirci.
Ciò che provi quando dipendi da una persona e da un amore non corrisposto è una voragine dell’anima, un vuoto che ti divora e che pensi solo lui possa riempire.
Vuoi capire, vuoi parlare con qualcuno, ma non sai con chi, ti senti in balia dei tuoi sentimenti, fai cose che mai faresti, cose che hai sempre biasimato negli altri. Ora però è diverso. C’è lui, non hai dubbi, lo ami e saresti disposta a tutto, forse anche a morire.
Sei una piccola barca che sta naufragando in un mare in tempesta, non sai dove tutto questo ti condurrà, ma non ti fermeresti per nessun motivo.
Si chiama dipendenza affettiva.
Hai un disperato bisogno d’amore, una fame insaziabile. Pensi che lui possa saziarti, che lui possa essere la soluzione, ti convinci che il tuo dio è finalmente sceso sulla terra per salvarti, per amarti e coccolarti, ma non è così. È un’illusione. Col passare del tempo ne scopri i difetti e i punti d’ombra, ti rendi conto che è umano, che sbaglia, che non basta, ma quell’abisso è ancora lì, dentro di te.
Ti guarda e ti sorride come solo un vecchio amico può fare. Lui è te, tu sei lui.
E così ti metti alla ricerca di un nuovo principe che ti possa salvare da questo oscuro compagno che ti sei sempre portata dietro, ti convinci che la soluzione stia fuori di te e non in te. Stessa storia, stesso copione, stesso finale. Nessuno è perfetto, nessuno può riempire un vuoto che tu stessa continui a nutrire, come fosse un lupo vorace che non riesci ad addomesticare. Soffri così tanto ma ami a tal punto da non riuscire a smettere, faresti qualsiasi cosa per lui, vuoi farlo felice ma non basta mai, lui vuole sempre di più e tu muori dentro, la tua luce si affievolisce come la fiamma di una candela.
Questa semplice favola sviluppa il tema della fame d’amore e della dipendenza affettiva che ne consegue. È vero, è una forma strana di dipendenza. Non è una sostanza ciò di cui non puoi fare a meno, ma un sentimento, un’emozione incontrollabile e indefinibile che ti tiene appesa a un filo. Come un tossico, hai bisogno della tua dose giornaliera di lui, della sua approvazione, ma non ti rendi conto del veleno che sprigiona questo amore malato, che ti uccide a poco a poco.
Temevo di essere dipendente dall’amore già da tempo, ma non capivo questo strano e perverso meccanismo che mi portava a fare tutto quello che lui voleva, nell’illusoria speranza che ciò servisse a tenermelo accanto, anche se solo per pochi giorni. La fine era poi sempre la stessa: il rifiuto, figlio bastardo del soffocamento che una simile forma di dipendenza può comportare.
Questo libro mi ha fatto comprendere l’origine del mio male e del mio indescrivibile bisogno di amore in modo semplice e sereno, ma profondamente efficace. Se è vero che succede tutto per una ragione, questa favola mi è capitata tra le mani nel momento opportuno per aiutarmi a guardarmi dentro, inducendomi a guardare dritto negli occhi il mio ultimo amore, troppo grande per essere spiegato, capito, dimenticato. La storia di Arabella, la principessa che aveva fame d’amore, mi ha condotto lungo un sentiero impervio, ma necessario, lungo il quale ho capito che l’amore che tanto cercavo negli altri lo dovevo in realtà a quella piccola bimba che piange nascosta nell’armadio, in attesa che qualcuno la prenda in braccio, le asciughi le lacrime e le sussurri nell’orecchio: “Andrà tutto bene”.
Ho capito che l’ultima esperienza, seppur dolorosa, è stata anche una grande lezione che avevo bisogno di apprendere, per poi andare avanti a testa alta, incontro a me stessa.
Ho dato amore senza volere niente in cambio, mi sono annullata nella speranza che lui mi accogliesse e che mi amasse come lo amavo io. Era il mio pane quotidiano, il mio nutrimento, mi ero illusa che lui solo potesse riempire il vuoto che mi porto dentro. Ovviamente non era così, ma rendermene conto non è stato facile. L’illusione, quando assume le sembianze dell’amore, esercita un potere quasi invincibile.
Nessuno mi aveva mai amata come avrei voluto, nemmeno i miei genitori, forse anche loro avevano avuto troppa fame e non avevano amore sufficiente per nutrirmi. Ora comprendo che non è colpa di nessuno, che l’amore non è un’ancora a cui aggrapparsi per sopravvivere, ma una splendida barca con cui veleggiare per mari inesplorati.
Le principesse come Arabella e come me forse possono capire, ed è per questo che invito voi principesse desiderose d’amore a leggerlo.
È una storia profonda, che esprime tutto il dolore legato alla dipendenza affettiva, offrendo a chi fosse pronta a coglierla una lezione intensa e non banale.
Il mio lieto fine non è ancora arrivato, il mio vuoto è lì, ci lavoro ogni giorno, prima o poi farò pace con lui, forse non si placherà ma almeno potrò accoglierlo in modo che non mi faccia più male.
Queste mie riflessioni sono dedicate ad una persona…
A lui che mi ha fatto amare come mai prima, non mi ha amato abbastanza o comunque non sa di averlo fatto, forse non poteva fare altro, ma almeno ho potuto capire chi sono veramente.
Ho aperto gli occhi su quella cosa strana che ti avvelena senza avvelenarti e che ti emoziona a tal punto da toglierti il fiato. È amore? Per me lo è stato.