Tra le cose che mi divertono di più del leggere narrativa è poi il confronto con altri lettori e scoprire con sempre rinnovato stupore che spesso è come se si leggessero storie diverse.
Di recente è capitato con Il ristorante dell’amore ritrovato di Ito Ogawa che mi è stato consigliato e che, dopo averlo assaporato, ho a mia volta suggerito con entusiasmo a un’amica, conoscendo il suo apprezzamento per le ambientazioni giapponesi.
La sua reazione? Fastidio e indisposizione! Laddove io ho recepito forza, coraggio, presenza e missione…
Curioso no?
Si dice che se qualcosa ti urta in una storia è perché scorgi una parte di te che non ti piace e non vuoi accettare.
Io non sono d’accordo, può capitare, certo, ma non ne farei una regola assoluta.
Non penso, quindi, che la mia amica non abbia apprezzato la figura delle protagonista perché si sia riconosciuta in lei e la cosa l’abbia resa insofferente.
Credo, tuttavia, che io e lei indossiamo lenti diverse attraverso le quali guardiamo il mondo e questo fa sì che abbiamo percezioni spesso distanti delle nostre esperienze, seppure condivise.
Che sia distorta la mia o la sua poco importa, probabilmente lo sono entrambe: avere la certezza di essere in completa sintonia con la verità è affermazione ardua!
Ma ritorniamo al romanzo e alla sua storia: in estrema sintesi la protagonista è Ringo, una ragazza che lavora in un ristorante di Tokyo con il sogno di aprirne uno proprio. Sennonché un giorno si ritrova letteralmente senza più nulla se non i vestiti che indossa, i pochi spiccioli in tasca e un vasetto di nukadoko, pasta fermentata a base di crusca di riso ottima per la realizzazione di varie ricette, ricordo della sua cara nonna, unico affetto della sua vita, ora scomparso. In preda allo sconforto, non vede altre soluzioni oltre a prendere un pullman e rientrare al suo villaggio natale, a casa della madre con cui non ha mai avuto un buon rapporto.
Gestire un ristorante tutto mio era il sogno più grande che avessi mai avuto.
La ferita che mi si era aperta nel cuore dopo […] la perdita di ogni avere era incommensurabile, e forse non si sarebbe più riemarginata, ma adesso avevo almeno l’opportunità di compiere un significativo passo in avanti.
Non avrei mai immaginato, fino ad appena un giorno prima, che le cose avrebbero potuto prendere una piega tale.
Sorvolando sui particolari, Ringo riprende tiepidi contatti con la madre, con cui stipula un accordo: questa la ospita e le dà in prestito dei soldi con cui Ringo può aprire un ristorantino molto intimo, Il lumachino: qualcosa di simile a una caverna segreta, dove ognuno potesse provare sollievo e addirittura ritrovare il proprio sé […] un ristorante molto particolare, riservato a non più di una coppia al giorno.
Il numero esiguo di avventori consente a Ringo di avere prima un colloquio con loro per entrare in relazione, scoprirne gusti ed esigenze per poi preparare un menu ad hoc, che possa risvegliarne coscienze e passioni: si sparse la voce che sarebbe bastato mangiare al Lumachino per vedere esauditi i propri sogni d’amore e ogni altro desiderio.
Spesso da un’azione, anche casuale e non ponderata, scaturiscono conseguenze inattese, e così è stato per Ringo: riscoprire le proprie risorse e da qui far crescere un progetto, stringere rapporti e creare legami, ascoltare gli altri e riprendere confidenza con le proprie emozioni, prendersi cura degli altri per dare un senso alla propria vita e apprezzala, anche laddove pare che sia tutto perduto.
Avevo ormai imparato che al mondo esistevano cose impossibili da affrontare solo con le proprie forze. Ciò che siamo in grado di determinare grazie ai nostri semplici desideri, pensavo, è niente se paragonato a quanto invece continua ad accadere indipendentemente dalla nostra volontà …
E così, anche per Ringo, dal quel che di primo acchito si è presentato come un dramma è derivata la scoperta della propria storia e della sua identità.
Alla mia amica ha infastidito la bontà di Ringo nel non serbare rancore e che fosse inverosimile che lei potesse campare con così pochi clienti. L’ha percepito un personaggio senza spessore e non realistico.
Io ne ho dato un’interpretazione più onirica, una figura molto concentrata su di sé e meno esposta agli urti della vita, pur avendone ricevuti e non elusi: la capacità di rinascere facendo leva sui suoi punti di forza interni a lei piuttosto che disperarsi della perdita e aspettare di aggiustare prima le cose esterne.
Ci sono diverse chiavi di lettura in questo romanzo, dal mio punto di vista, qui e lì le ho sparse anche in questo breve post, ma lascio a te la libertà di scovarle e interpretarle e, se ne avrai voglia, di condividerle con me scrivendomi a flavia@flaviaingrosso.it.
(Ito Ogawa, Il ristorante dell’amore ritrovato, Neri Pozza, Vicenza 2010)
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