Mesi fa un’amica ha scelto di consigliarmi e prestarmi un romanzo, l’ha fatto senza troppi preamboli, anzi neanche uno se non che si trattava di una storia che l’aveva molto coinvolta emotivamente.
Mi sono fidata e ho accolto benevolmente consiglio e prestito.
Sennonché quando ho iniziato a leggere la prima pagina sono stata travolta dall’ansia, dall’angoscia, da paura e tensione tali da farmi interrompere la lettura e rimandarla a tempi migliori.
In seguito altre volte, tante, ho approcciato il libro con curiosità mista ad apprensione, senso di insicurezza, vera e propria paura: sapevo che non si trattava solo di finzione, nella storia ci stavo dentro con tutta la difficoltà e senso di terrore per la crudeltà di certe persone e la crudezza di alcune vite.
La lettura l’ho trascinata per mesi, tanti, azzarderei un anno intero, e poi nell’ultimo periodo mi ci sono immersa a capofitto e non sono più riuscita a smettere, pur continuando a provare le medesime sensazioni dell’inizio; anzi sempre peggio perché Jeanine Cummins con Il sale della terra riesce a far entrar il lettore nel vivo della storia ed è giusto non fare sconti a nessuno, soprattutto a chi è dall’altra parte della pagina scritta, seduto comodamente, come me.
Probabilmente banale è dire che mentre si legge questa storia e tutte le altre in essa comprese non si può fare a meno di pensare a quanto sia vitale far parte di una comunità di cui fidarsi, di quanto sia importante apprezzare gli agi della vita che diamo per scontati, di quanto sia uno spreco di vita lottare costantemente per ottenere quel che manca senza dare valore a ciò che si ha.
Conosco persone che si lamentano quotidianamente di qualcosa eppure hanno casa, soldi, lavoro, famiglia, salute… libertà! Che schiaffo alla fortuna e a un diritto acquisito senza particolari meriti!
Andando più in profondità, ho apprezzato specificamente due dettagli di questa narrazione.
Il primo è il costante invito a non ritenere normale l’orrore che i personaggi vivono, per non perdere la sensibilità e non abituarsi alla mostruosità di una vita estremamente disumana, a non perdere mai l’attenzione sugli eventi e non dimenticare i propri valori.
Il secondo è il monito a “non pensare” quando non avrebbe giovato in alcun modo soffermarsi in elucubrazioni e congetture utili solo a impedire l’azione, che in condizioni di estremo pericolo è l’unica cosa che può salvare: muoversi, agire, andare avanti.
Nella vita quotidiana ci si paralizza per molto meno e ci si sente vittime di flebili infelicità, che annientano la nostra predisposizione a vivere e godere del presente.
Confrontarsi con queste storie può essere utile a ridimensionare i nostri “drammi” giornalieri e a non fermarsi a ciò che a primo acchito è ritenuto un ostacolo, ma che può rivelarsi solo l’occasione per cambiare strada.
Nella realtà, anche in condizioni estreme come quelle qui narrate, non si può mai ricominciare da zero e anche quando perdi quasi tutto bisogna ripartire da ciò che resta, che c’è, che è sopravvissuto e che, quindi, ha dimostrato di funzionare… fosse anche “solo” un libro, un romanzo, che non cura, ma è pur sempre un primo mattoncino su cui (ri)costruire una propria vita, una propria identità.
Se hai la tentazione di “ricominciare da zero” e sai che non è possibile, il mio servizio Ricomincio da tre può fare al tuo caso: è un percorso che ho ideato in modo tale da offrirti gli strumenti pratici per riconoscere quali sono le tre cose che ti sono riuscite nella vita e da lì partire per andare avanti.