Ricordo il giorno della mia Prima Comunione, un pomeriggio di fine primavera, chiesa gremita di parenti e amici. Un gruppo di trenta bambini, forse più: ognuno emozionato a modo suo, tutti, maschi e femmine, indistintamente abbigliati con tonache cucite dalla medesima sarta. Il parroco aveva voluto dare rilevanza al Sacramento scongiurando che il percorso verso l’altare si trasformasse in una passerella. Più che legittimo, direi.
Avevamo appena ricevuto le ultime disposizioni quando, non so se per poca puntualità o piuttosto per tempi ben calcolati, poco prima dell’inizio della funzione vedemmo sopraggiungere una bambina che, versione in miniatura di una mamma appariscente e raggiante al suo fianco, svettava su noialtri non solo per altezza: pareva di assistere all’avanzata regale di una sposa all’altare. La bambina ondeggiava sulle sue esili gambe e si pavoneggiava, voltandosi a destra e a manca, per attirare l’attenzione su di sé e sull’abito tutt’altro che monacale.
Ora, non so se fosse per la mia già sviluppata empatia o per la mia naturale predisposizione a immedesimarmi nelle storie altrui (vissute però con il mio tipo di sensibilità), tuttavia nel sorriso ostentato e nello sguardo spaurito della compagna scorgevo un forte imbarazzo. Un rassegnato aderire a un copione scritto da qualcun altro, avido di riconoscimento e di un momento di gloria, che tale non si rivelò affatto: il gruppo non fu accogliente con la principessa ritardataria, gli altri genitori non gradirono l’insubordinazione alle prescrizioni ricevute, il parroco pronunciò pubblicamente parole di biasimo per la voce fuori dal coro.
Purtroppo, sperando di renderla speciale, la mamma aveva solo reso diversa la figlia, forse temendo l’anonimato della normalità.
Punti di vista.
Del papà non ho memoria.
Questo ricordo è ritornato leggendo un libro per ragazzi che mi ha allietato ultimamente, Lisbeth e il segreto della Città d’Oro di Mavis Miller, in particolare la figura della mamma della protagonista che, preoccupata solo di non sfigurare davanti agli altri, poco si cura ad un certo punto che Lisbeth non respiri nel vestito troppo stretto, che lei stessa le ha regalato per un’occasione speciale… Vivono nella Città d’Oro, dove tutto è perfetto e non esiste il disagio: i bisogni primari sono soddisfatti, addirittura anche le lacrime hanno un dolce sapore e ognuno segue le tracce di chi lo ha preceduto, senza ribellione alcuna, o quasi. Alla fine non è proprio vero che sia tutto perfetto, no, perché ogni evento è già prestabilito e solo in rare occasioni e a poche persone è concesso scegliere.
Al tredicesimo compleanno di Lisbeth, lei e la sua famiglia fanno una scoperta sconvolgente che la riguarda: lei è diversa dai suoi coetanei e, secondo il regolamento, è costretta a vivere fuori dalla Città d’Oro, ossia nelle Terre Selvagge. E lì Lisbeth incontra e si scontra con la vita, quella che somiglia più alla nostra reale, con la fame, il caldo e il freddo, la fatica, il dolore, il fallimento, ma non solo. Esiste la soddisfazione di aver conquistato qualcosa con tanto lavoro (Lisbeth si sorprese a pensare che in fondo, in mezzo a tutta quella fatica, c’era anche stato qualche elemento positivo) e la voglia di comprendere la diversità degli altri (“Devo impegnarmi a essere più attenta e comprensiva”), che dopotutto è sempre una buona occasione per scoprire meglio se stessi.
Soprattutto le Terre Selvagge offrono a Lisbeth l’opportunità di far emergere talenti e qualità nascoste, compresi la forza di volontà e il coraggio per guardare avanti perché, qualunque cosa sia accaduta, il passato è impossibile da cambiare … ormai è successo, indietro non si torna. Se resti qui a commiserarti, non farai che rivivere quei fatti spiacevoli e ti sembrerà che quelle brutte cose siano accadute non una volta sola, ma dieci, venti, cento … I problemi si risolvono anche senza magia … alzandosi e andando avanti.
Bisogna imparare a scegliere e decidere, e la ragazza lo fa esplorando nuove Terre, Selvagge appunto: ha perso le sue abitudini e parecchie comodità, ma in compenso ha guadagnato qualcosa di molto importante … la libertà.
Non ho più saputo nulla della principessa sposa e non so se speciale lo fosse davvero o meno. Io le auguro di sì, altrimenti avrà avuto più di una delusione e frustrazione nello scoprire, giorno dopo giorno, di dover lottare e affaticarsi come tutti per trovare un proprio posto nel mondo, dato che, come si legge nel libro, il mondo è uno solo. Spero che anche lei, come Lisbeth, abbia scoperto il potere della condivisione di momenti e progetti comuni ad altre persone normalmente imperfette, che insieme realizzano qualcosa di bello, per quanto anch’esso imperfetto, ma forse proprio per questo fantastico.
Lisbeth si accorse che in quel momento si assomigliavano moltissimo l’uno con l’altro … Erano tutti uguali e, allo stesso tempo, ognuno di loro era unico.
Esattamente come me e i miei compagni della Prima Comunione.
Sento nell’aria ancora il profumo di Natale. Che porti a ognuno tutto ciò che desidera, ma il mio augurio più grande per tutti è la consapevolezza che, per essere felici, il più delle volte, non c’è affatto bisogno della perfezione.
(Mavis Miller, Lisbeth e il segreto della Città d’Oro, De Agostini, Milano 2016)
– Post pubblicato sul blog di Accademia della Felicità il 7 dicembre 2017 –