Temo che ci siano messaggi alquanto contraddittori relativamente a cosa fa o meno un coach.
Me ne accorgo dalle domande che in tanti mi pongono e da alcune cose lette in rete, che mi lasciano un po’ perplessa: perché, insomma, a me il coaching l’hanno insegnato diversamente.
Il coach è un professionista serio e coscienzioso, che sa fino a che punto può permettersi di ampliare il suo raggio d’azione con il coachee, il suo cliente, che è innanzitutto
una persona da rispettare.
Non ho la pretesa di insegnare niente a nessuno, ma di seguito ho voluto chiarire alcune cose che un coach NON fa:
Un coach:
non definisce il proprio coachee: gli offre, invece, gli strumenti per conoscersi meglio;
non impone al coachee cosa deve fare: piuttosto gli lancia delle sfide, che il coachee ha la facoltà di accettare o meno, valutando coi suoi tempi se è in grado di affrontarle o no;
non minaccia il coachee con frasi del tipo “se non farai come dico io, sbaglierai!”: lo inviterà, altresì, a trovare una strada per sé congeniale per raggiungere l’obiettivo;
non fa sentire inadeguato un coachee: fa leva, al contrario, sui suoi punti di forza;
non lancia nel vuoto il coachee a ridosso di un burrone senza avergli prima dato le ali per volare;
non abbandona il coachee durante il volo, col rischio di cadere senza qualcuno pronto a sorreggerlo;
non invita il coachee, indipendentemente da fedi e credenze personali, a delegare la responsabilità della propria vita ad altre persone, a santi, demoni, dèi, stregoni o extraterrestri: il coaching è innanzitutto assunzione di responsabilità;
non ignora il proprio coachee bisognoso di ascolto: il coaching è ascolto attivo e non distratto;
non banalizza i problemi del coachee: nel coaching non c’è giudizio;
non sottovaluta gli interessi e gli sforzi del coachee: nel coaching c’è rispetto;
non tiene legato a sé il coachee per un tempo prolungato: se non ci sono risultati o il coachee ha bisogno di altri tipi di aiuto, oppure non si è creata un’intesa tra coach e coachee, per cui doveroso “liberare” il coachee dalla relazione;
non fa sentire in colpa il coachee se non ha raggiunto un obiettivo: piuttosto lo accompagna a comprendere se si trattava di un obiettivo autentico o meno;
non accusa il coachee di non aver ubbidito ai suoi “precetti”: nel coaching non ci sono prescrizioni, ma si offrono strumenti per raggiungere la consapevolezza;
non si sostituisce ad altre professionalità d’aiuto, senza averne le competenze;
non è incoerente tra ciò che “predica” e come si comporta nella vita;
non si identifica nel proprio coachee;
non è geloso dei risultati ottenuti dal coachee;
non parla male dei suoi colleghi;
non fa preferenze tra i coachee in un contesto di gruppo;
non manipola il suo coachee: nel coaching, e non solo, è sacrosanto il libero arbitrio delle persone;
non dice bugie;
non millanta competenze che non ha;
non può essere un tuttologo;
non dimostra antipatia verso il proprio coachee;
non può emanare sentenze.