Una buona occasione nella vita si presenta sempre.
Il problema è saperla riconoscere e a volte non è facile.
La mia, per esempio, aveva tutta l’aria di essere una maledizione.
Il libro Un indovino mi disse di Tiziano Terzani, regalo apprezzato di un’amica, l’ho letto nella torrida estate dell’anno scorso, quando le energie intellettuali erano fiaccate, non solo dal caldo, ma anche dalla stanchezza di mesi molto intensi trascorsi a lavorare su più fronti.
Mi si era presentata una buona occasione e, per quanto comportasse un carico di fatica ulteriore, avevo voluto riconoscerla e coglierla. Ne è valsa la pena: oltre a ricevere tanti benefici di varia natura, ho realizzato quanto poter chiedere a me e quanto fare affidamento sugli altri, o no.
Più rimanevo incollata alla poltroncina al fresco (avaro!) in balcone più viaggiavo insieme all’autore che, colto al balzo il pretesto della sua morte annunciata per il 1993, in quell’anno decise di stravolgere e rallentare i piani lavorativi e di vita, assecondando l’avvertimento di un indovino di evitare gli aerei:
Muovendomi fra l’Asia e l’Europa in treno, in nave, in macchina, a volte anche a piedi, il ritmo delle mie giornate è completamente cambiato, le distanze hanno ripreso il loro valore e ho ritrovato nel viaggiare il vecchio gusto di scoperta e avventura …
Quella di prendersi del tempo è una cura semplice per i mali dell’anima, ma che nessuno sembra permettersi facilmente.
Non solo. Decise anche di continuare il gioco da cui la nuova avventura aveva avuto inizio: ovunque il suo viaggio lo portasse, si propose di chiedere conto sul proprio futuro al più noto indovino, mago, santone del luogo.
Lungi dal farsi condizionare dalle prescrizioni (alquanto generiche e in contraddizione tra loro) dei vari “esperti di preveggenza”, Terzani decise però di allentare il vincolo del rigore razionale e aprirsi alla scoperta di modi vivendi fino ad allora ignorati, se non snobbati.
Il suo si è rivelato essere un vero e proprio esperimento di antropologia culturale, che pone alla base del metodo l’assoluta mancanza di giudizio in ciò che si osserva.
Tradizioni, credenze, usi e costumi sono fortemente influenzati dall’ambiente culturale e sociale in cui nascono e prolificano: essere giudicanti, non empatici e presumere di sapere a priori cosa sia giusto o sbagliato, inficia la comprensione del nuovo:
Ogni posto è una miniera. Basta lasciarsi andare …
La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare.
Mi è venuto spontaneo il paragone tra l’antropologo e il coach: per ascoltare e capire veramente l’altro è necessario liberarsi il più possibile dai propri schemi mentali e accogliere le esperienze dell’altro senza pregiudizio.
Non è affatto un invito a un atteggiamento acritico, piuttosto uno sprone all’apertura e a liberarsi dai blocchi emotivi e intellettuali che compromettano un prezioso confronto con il diverso.
L’aver incominciato a interessarmi all’aspetto meno solito delle cose mi faceva notare tutto ciò che in altri tempi mi sarebbe sfuggito. D’un tratto, tutto mi appariva marcato da un legame con quell’altro mondo; persone di cui normalmente avrei visto solo l’accettabile facciata sociale rivelavano di sé una seconda natura, molto più in sintonia con quel che interessava anche me. Ovviamente ero io che, con la mia nuova attenzione, facevo succedere le cose così …
La mente è uno degli strumenti più sofisticati che abbiamo a disposizione, eppure non la trattiamo neppure con il riguardo con cui trattiamo i muscoli delle gambe! Non le insegniamo a concentrarsi, non la addestriamo più a sviluppare quei poteri che in passato altri le hanno attribuito.
E in tutto il libro Terzani tratteggia mirabilmente la meraviglia della scoperta durante il suo peregrinare da un mondo geografico e umano all’altro.
Curioso poi per me, che non confido nelle predestinazioni ma nel potere delle scelte, trovare delle analogie tra il lavoro del coach e quello dell’indovino; ho capito così perché alcune persone mi attribuiscano poteri “magici”, che garantisco di non avere:
Con quel loro passare in rassegna i temi della famiglia, della salute, dell’amore, della ricchezza, mi portavano a ripensare a me stesso come non avevo fatto da tempo. Chi, alla mia età, pensa più davvero a se stesso? … Uno tende a occupare la propria mente con i problemi del quotidiano e non si ferma mai a guardarsi da qualche metro di distanza …
A volte, nelle ore di ozio, ripassavo in rassegna i vari indovini che avevo incontrato, cercando di trovare un filo in tutto quel che avevo sentito da loro.
Mi pareva che, così come il senso del viaggiare è nella strada che si fa e non nella meta cui si arriva, anche nell’occulto quel che conta sia la ricerca, il porre le domande, e non le risposte che vengano dalle incrinature di un osso o dalla lettura di una mano.
La risposta in fondo siamo sempre noi a darla.
Anche io nel mio lavoro, con me stessa e con gli altri, parto da una riflessione di base, con cui vi saluto:
Tutti dobbiamo chiederci – e sempre – se quel che stiamo facendo migliora e arricchisce la nostra esistenza.
O abbiamo tutti, per una qualche innaturale deformazione, perso l’istinto per quel che la vita dovrebbe essere, e cioè soprattutto un’occasione di felicità?
(Tiziano Terzani, Un indovino mi disse, Milano, TEA 2016)